Lo stupro rituale de La Mandragola

24.11.2019

"Così soave è l'inganno, al fin condotto desiato e caro, e l'altrui soglia d'affanno e dolce fa ogni gustato amaro. O rimedio atto e raro, tu mostri d'altro canto all'alme erranti: tu, col tuo grand valore, nel far beato altrui, fai fiero Amore, tu vinci, sol con i tuoi consigli santi, pietre, veleni e  incanti"

Il capolavoro del teatro italiano rinascimentale

Con questa commedia, capolavoro del teatro rinascimentale, ci troviamo di fronte a una delle più complicate allegorie del nostro teatro e del nostro pensiero (per "nostro" intendesi la coscienza europea ed occidentale). Se da un lato essa rappresenta il simbolo ben noto della voracità tipicamente legata al denaro e al potere, dall'altro esprime una concezione ben radicata nella mentalità dell'epoca sulla donna come "bene fruttifero", ossia oggetto atto ad uno scopo ben preciso: la riproduzione; senza di esso, infatti, lo scopo di una donna viene meno, spingendo, nella commedia, lo stesso Nicia a considerare Lucrezia come "morta", senza alcuna utilità. La donna non ha nessuna funzione, nella mentalità dell'epoca e non solo, se è sterile.

Tutto il procedere della commedia verte intorno a un unico fine: il possesso del corpo di Lucrezia.

Ma procediamo con ordine: sul piano dell'allegoria politica, a detta di Alessandro Parronchi, Lucrezia cela in realtà la città di Firenze, descritta come ghiotto bottino tra parti sempre in lotta; Callimaco e Nicia, in effetti, sono ricalcati su tratti caratteriali di personaggi storici (il duca Lorenzino de' Medici e Pier Soderini) per cui la rappresentazione della patria come una donna, nel linguaggio poetico e politico, è abbastanza comune, portatrice di positività e di sani valori.

Sul piano, invece, del rapporto tra i sessi, l'ago della bilancia pende inesorabilmente sui caratteri maschili, presenti in numero maggiore, quelli femminili sono solo tre; sono sempre gli uomini a tessere la trama dell'inganno e Lucrezia, infine, senza un reale spessore, accetta le offerte amorose di Callimaco, indicandolo poi come sua guida e suo amante, in barba a Nicia. 

Tutta la commedia, infine, è costellata di commenti, allusioni e battute misogine, in realtà una costante nel linguaggio corrente. Alla luce di questo, non sarebbe più giusto considerare La Mandragola come la descrizione di uno stupro rituale al fine della mera sopravvivenza della specie?

Oppure, sul piano più "politico", non sarebbe più comodo indicarlo come la corsa alla fetta di torta più grande?

Machiavelli, lo stesso autore de Il Principe, ne era ben consapevole. Ecco perché, a mio avviso, sarebbe lecito considerare l'opera da entrambe le prospettive, comunque non sarebbe sbagliato. 

Recensione di "La Mandragola", di Niccolò Machiavelli, BUR, 2018.

Argomento: Commedia

Anno di pubblicazione: 1524



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